21 novembre 2005

Un treno carico carico di...

Sarà che uno arriva a casa per la pausa pranzo.
Accende la tele e mette sul tiggì.
Puoi bertelo d'un fiato.
Ma se te lo gusti piano piano è molto più divertente.
E allora ti chiedi.
Come mai nessuno parla più di influenza aviaria?
Non si fa così.
Perchè uno poi finisce di affezionarsi a tutti quei polli.
Un pò come quando c'era il Tamagochi.
Ci si affeziona anche alle parole.
Era così bello e rilassante sentire tutti i giorni la parola "Pandemia".
Io me la immaginavo recitata con un accento Fantozziano.
Ma adesso basta. Stop. Punto.
Senza nemmeno andare a capo.
Senza fare due conti in tasca alle case farmaceutiche che hanno fatturato l'impossibile.
E senza nemmeno sborsare una lira di pubblicità.
Perchè oggi quella te la fanno i telegiornali.
E i giornalisti.
Che vedono passare un treno con vagoni dai nomi più strani.
La locomotiva Sars.
Il vagone letto Pandemia.
Le cuccette con qualche nome di Uragano mai arrivato.
Vedono il treno e ci saltano sopra.
Non pagano i biglietto di una facile notiziona.
E poi col cazzo che pagano la multa se li catta il controllore.